Sì all’adozione del maggiorenne per gli uniti civilmente

Il Tribunale di Rieti, a seguito di procedimento promosso da Rete Lenford – Avvocatura per i diritti lgbti, ha affermato che un maggiorenne può essere adottato anche da una coppia di omosessuali uniti civilmente e non soltanto da una coppia eterosessuale unita in matrimonio.

In ordine all’adozione del maggiorenne, l’art. 294 c.c. stabilisce che “Nessuno può essere adottato da più di una persona, salvo che i due adottanti siano marito e moglie”. La ragione che giustifica il divieto risiede nella necessità di impedire la creazione di plurimi status familiari tra loro confliggenti, per questo non opera nell’ipotesi di adozione successiva da parte di un soggetto coniugatocon chi già ha effettuato l’adozione. In questo caso infatti l’adottato non diviene figlio di una “pluralità di persone” ma, semplicemente, figlio di “due genitori”.

Al Tribunale di Rieti si è rivolta quella che, nella realtà delle relazioni e degli affetti, era già una famiglia da tempo: una coppia di uomini uniti sentimentalmente da più di trent’anni e un giovane profugo che è stato accolto nella loro casa, accudito e amato come un figlio. Benché l’intenzione della coppia fosse fin dall’inizio quella di adottare insieme il ragazzo, solo uno dei due uomini, nel 2014, aveva potuto far ricorso all’istituto dell’adozione del maggiorenne, proprio in ragione del divieto stabilito dall’art. 294 c.c.

Ma dopo essersi unito civilmente nel 2017 con il genitore adottivo, anche il secondo componente della coppia si è rivolto al Tribunale di Rieti per chiedere, a propria volta, di adottare il ragazzo.

Il Tribunale di Rieti ha accolto il ricorso e ha pronunciato l’adozione in suo favore ritenendo che anche nel caso in cui gli adottanti siano uniti civilmente non vi sia il rischio di creare plurimi status familiari tra loro confliggenti, esattamente come avviene quando gli adottanti sono marito e moglie.

Rileva notare come questa soluzione, benché risponda al buon senso, alla logica, ai principi di eguaglianza e non discriminazione nonché – con tutta evidenza – all’interesse del ragazzo (che acquista i diritti di successione rispetto all’adottante), fosse tutt’altro che scontata alla luce di quanto disposto dalla legge n. 76/2016 sulle unioni civili.

Nel modellare la disciplina delle unioni civili sull’istituto del matrimonio, come noto, la legge n. 76 ha introdotto al comma 20 una “clausola di equivalenza” prevedendo l’estensione agli uniti civilmente delle disposizioni che si riferiscono al matrimonio contenute nelle leggi(ad esclusione della L. n. 184/1983 sulle adozioni di minori), negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti, negli atti amministrativi o nei contratti collettivi, mentre ha selettivamente indicato quali tra gli articoli del codicepossono essere applicati anche agli uniti civilmente. E tra gli articoli del codice civile espressamente richiamati dalla legge non c’è l’art. 294 c.c..

In questo senso, la pronuncia di Rieti si inserisce nel solco del percorso interpretativo reso necessario dalla legge n. 76/2016 e, ancora una volta, fa emergere il limite di una legge che non ha inteso eliminare le discriminazioni nell’accesso al matrimonio, ma ha istituito un regime di diritti e di tutele ad hoc, scegliendo, con una logica spesso davvero difficile da comprendere, quali tra le disposizioni previste per i coniugi debbano estendersi agli uniti civili e quali no.

La domanda di giustizia formulata al Giudice di Rieti, in base alle disposizioni della legge n. 76/2016, avrebbe quindi potuto essere respinta e solo una sua interpretazione costituzionalmente orientata ha evitato che si producesse una discriminazione ai danni della coppia omosessuale e dell’adottando. Si tratta dunque di una sentenza importante  perché – oltre alla rilevanza per lo specifico istituto delle adozioni di persone maggiorenni – evidenzia la possibilità che i Giudici hanno, senza rivolgersi alla Corte costituzionale, di valutare caso per caso l’opportunità di estendere alle unioni civili anche quelle norme, dettate per il matrimonio e/o per le adozioni, che sono state “dimenticate” o volutamente omesse dalla legge n. 76/2016 (tra le altre, la disciplina del rapporto di affinità, con le gravi conseguenze – tra le tante – in materia di obblighi alimentari e nella mancata possibilità di usufruire dei permessi previsti dalla legge n. 104/1992).

Risulta confermato, insomma, e ancora una volta, il ruolo fondamentale che la giurisprudenza ha assunto, e assumerà, per l’eliminazione delle gravi disparità tra l’istituto matrimoniale e le unioni civili e per la tutela della dignità delle persone omosessuali e dei loro figli.

Risultano inoltre confermati, purtroppo, i limiti dell’istituto delle unioni civili che, oltre ad essere ghettizzante e discriminatorio, rischia continuamente di determinare alla prova dei fatti – ovvero nella quotidianità delle persone omosessuali e de loro familiari – conseguenze illogiche e lesive di diritti fondamentali.

Si ringraziano l’avvocata Susanna Lollini e l’avvocato Vincenzo Miri che hanno seguito il procedimento.

È possibile qui scaricare il testo del provvedimento.

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