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Camera dei Deputati. Intervento di Avvocatura alla cerimonia per la Giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia.

17 Maggio 2012

Si è tenuta questa mattina presso la Camera dei Deputati la presentazione dei dati statistici della prima ricerca dell’ISTAT sulla popolazione omosessuale, in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia.

Sono intervenuti il presidente della Camera Gianfranco Fini, il presidente dell’ISTAT Enrico Giovannini e la direttrice del dipartimento statistiche sociali, la capo dipartimento delle pari opportunità Patrizia De Rose, la sottosegretaria al lavoro Cecilia Guerra.

In rappresentanza delle associazioni lgbt sono intervenuti: Paola Brandolini, presidente di Arcilesbica; Regina Satariano del consultorio Tansgenere; Antonio Rotelli, presidente di Avvocatura per i Diritti LGBTI – Rete Lenford

Cliccando qui è possibile rivedere gli interventi e la presentazione dei dati

 

A seguire riportiamo il testo dell’intervento dell’Avv. Antonio ROTELLI:

On. le Presidente Fini,
Onorevoli Deputati e Deputate, Signore e Signori,

consentitemi subito di ringraziare le associazioni LGBTI per aver chiesto ad Avvocatura per i Diritti LGBTI – Rete Lenford, che ho il piacere di presiedere, di  prendere la parola nell’odierna occasione.

È essenziale ricordare a noi stessi, prima di ogni altra cosa, che l’omofobia e la transfobia uccidono, producono violenza, sofferenza, anche ora mentre vi sto parlando.
I segni indelebili di questo male sociale che solo la cultura del rispetto dell’altro potrà estirpare sono intorno a noi, basta avere gli occhi per guardarli.
Basta guardare gli occhi delle loro vittime, occhi che purtroppo sono quelli di tante ragazze e tanti ragazzi che subiscono in silenzio e in solitudine.

A Milano, lo scorso febbraio: l’ultimo omicidio di una persona transessuale.
A Vicenza, a gennaio: il tentativo di suicidarsi da parte di un ventenne a causa della reazione dei genitori al suo coming out.

Due episodi, gli ultimi in ordine di tempo. Purtroppo, noi tutti siamo consapevoli che si tratta della punta dell’iceberg. La maggior parte delle discriminazioni e delle violenze ai danni delle persone omosessuali e trans rimangono sconosciute, la maggior parte non vengono neppure denunciate, perché? Perché le vittime sono convinte che i loro aggressori la faranno franca, grazie alla sottovalutazione, quando non a causa della connivenza, di chi sarebbe deputato a perseguire certi comportamenti.

Basta a dare ragione di un tale stato di cose la constatazione che non esiste nel nostro ordinamento alcuna norma penale che si interessi della punizione dei reati ai danni delle persone omosessuali e trans? Certamente no! La legge senza una cultura diffusa del rispetto delle persone è solo carta eppure una cultura diversa rispetto a quella in cui siamo immersi senza quella legge faticherà a emergere e le persone continueranno a morire o, cosa a volte peggiore, a vivere una vita non degna di essere vissuta.

Ciò che rende ancora più grave la situazione italiana rispetto ad altri Paesi non è solo l’immobilismo legislativo, ma l’omofobia e la transfobia che pervade le istituzioni e i suoi rappresentanti.

Come può un Deputato della Repubblica dirsi “orgoglioso di essere normale”?
O un assessore della Regione Lombardia dichiarare che le persone lesbiche e gay “nella maggior parte dei casi sono malati ed è una malattia da cui si può uscire”?

Purtroppo non posso non ricordare, Signor Presidente, che l’Assemblea che Lei presiede, in occasione della presentazione di un testo di legge che intendeva introdurre misure contro l’omofobia, ha motivato una pregiudiziale di costituzionalità sostenendo che altrimenti verrebbe protetto qualunque “orientamento sessuale” compresi “incesto, pedofilia, zoofilia, sadismo, necrofilia, masochismo”, con ciò confondendo una condizione ascritta dell’individuo con comportamenti in alcuni casi di grave rilievo penale, che nulla hanno a che vedere con l’orientamento sessuale.

In queste parole è chiara la presenza di un pregiudizio sessuale, eppure rinnegando quello che aveva appena compiuto votando tale pregiudiziale, il capogruppo dei Deputati del Pdl alla Camera ha dichiarato: “Noi non abbiamo nessun atteggiamento omofobo e la nostra posizione di fondo è quella di considerare i gay come dei cittadini uguali agli altri; proprio per questo contestiamo ogni trattamento giuridico specifico e differenziato, che, come tale, ammetterebbe e accentuerebbe una diversità, sostanzialmente incostituzionale”.
Sono parole che invertono e confondono i termini del problema e suggeriscono che i cittadini omosessuali vorrebbero essere più uguali degli altri.

Una tale situazione può essere modificata solo se prima si riconosce che essa è inaccettabile e va ripudiata. In questa sede, il pensiero corre prima di tutto a coloro che esercitano la potestà legislativa, ma va anche alle organizzazioni di rilevanza costituzionale all’interno delle quali essi operano. Ai partiti.

A febbraio del 2012, in Francia, un deputato dell’Ump, partito di centro-destra, è stato espulso dal suo partito per aver negato la deportazione di omosessuali francesi da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale. Mentre in Italia è passata senza conseguenza la dichiarazione pubblica di un parlamentare che in radio ha negato l’olocausto anche delle persone omosessuali, anzi ha ritenuto importante sottolineare che “il movimento nazista era largamente rappresentato dai gay perché c’erano gay nazisti ai vertici del partito”. Sono parole esecrabili perché tentano di negare o di minimizzare che ci siano state delle vittime e insinuano la rappresentazione delle stesse vittime come carnefici.
Mi chiedo: nel contesto in cui viviamo si possono tollerare come esercizio del diritto di libera espressione del proprio pensiero espressioni simili? Anche quando esse negano e feriscono la dignità di migliaia di persone? E se non sul piano giudiziario o strettamente giuridico, non sarebbe opportuno che per primi i partiti agissero per stigmatizzare con sanzioni specifiche chi si scaglia contro le persone a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere?

Su questo terreno l’Italia costituisce un’eccezione negativa nel contesto europeo e occidentale. Le uniche garanzie legislative contro la discriminazione motivata dall’orientamento sessuale sono frutto di recepimento del diritto comunitario, mentre il Parlamento italiano, di sua iniziativa, non ha mai approvato nulla.

Se poi lo sguardo si allarga alla società italiana nel suo complesso, il panorama non è meno desolante. In questo il Parlamento è fedele specchio della società italiana.

Tutti fingono di non vedere che sia in ambito famigliare sia in ambito scolastico, crescono anche persone lesbiche, gay e trans. Con la felice eccezione del Ministro della istruzione in carica, nessun altro ha stimolato i direttori scolastici a smascherare e combattere il terribile fenomeno del bullismo omofobico, causa prima della omofobia interiorizzata, veleno che in alcuni casi rovina una vita intera.

Le persone omosessuali e trans sono prima di tutto persone. Può essere banale ricordarlo, ma quello che si legge sui giornali, si vede in televisione, si ascolta alla radio spesso induce a pensare che una cosa tanto ovvia sfugga ai più.

Come tutte le persone anche le lesbiche, i gay e le persone trans hanno sogni, desideri, speranze, affetti. Desiderano che si ric
onosca loro una piena cittadinanza, semplicemente perché come tutti gli altri lavorano, pagano le tasse, fanno ed hanno fatto grande questo Paese nel mondo. Perché quindi non dovrebbero pretendere di non essere trattati alla stregua di cittadini di serie B? Perché non possono come tutti e con le stesse garanzie formare una famiglia, sposarsi, allevare dei figli?
In altri tempi o in altri luoghi quelle stesse istanze sono state declinate in altro modo, quando erano le donne ad avanzarle o quando erano persone dalla pelle non bianca. Allora, in quei luoghi, la storia ha progredito nel segno dell’uguaglianza e della pari dignità.
Sarà così anche per le persone omosessuali e trans. Chi si oppone alle loro richieste otterrà un solo risultato: spostare in avanti il momento in cui anche questa svolta culturale si compirà.

Ma le cose già oggi stanno cambiando, e paradossalmente la prova di ciò la si trae dalla frequenza sempre più stizzita con cui gli omofobi con ogni mezzo si scagliano contro le persone omosessuali.
Frasi come:

“oggi l’omosessualità va di moda”

“gli omosessuali possono essere guariti”

“gli omosessuali sono sterili”

“la legge contro l’omofobia renderebbe gli omosessuali più uguali degli altri”

non meriterebbero nemmeno un commento. Le ricordo solo perché in diverso modo segnalano – come il buio più assoluto prima dell’alba – che stiamo per compiere una svolta sociale e culturale.

A chi verrebbe in mente di definire come una moda l’omosessualità se in questi anni non fosse cresciuta la visibilità e la consapevolezza della propria dignità sociale delle persone omosessuali?

E non è necessario pubblicizzare all’ombra dei campanili le terapie riparative, giacche la comunità scientifica internazionale e – altro segnale confortante – vari Ordini degli psicologi in Italia hanno chiaramente preso posizione contro di esse, giudicandole pratiche dannose per il benessere psicologico delle persone che sono costrette a sottoporvisi? Contro le terapie riparative non si possono avere tentennamenti; si tratta di un fenomeno che andrebbe indagato da una commissione parlamentare di inchiesta considerata la sua gravità.

Che bisogno ci sarebbe di insistere nel negare la realtà che è sotto gli occhi di tutti sostenendo che le persone omosessuali sono sterili, se non fosse sempre più largamente presente sul territorio nazionale la presenza di famiglie omosessuali con figli, frutto di una scelta di maternità o paternità interna alla coppia o che sono nati da precedenti relazioni eterosessuali da un genitore che ha preso tardivamente consapevolezza della sua omosessualità?

Infine, che senso ha negare all’orientamento sessuale e all’identità di genere quelle tutele che già esistono contro le discriminazioni e le violenze per motivi razziali o etnici, grazie alla legge Reale, poi rinominata legge Mancino-Reale, con cui si è recepita la Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, e grazie alla quale con le modifiche introdotte nel 1989 e nel 1999 vengono imposte sanzioni alle discriminazioni motivate da odio religioso e quelle ai danni delle minoranze linguistiche? Forse la ragione dell’opposizione solo confronti dell’inserimento del reato di omofobia e transfobia sta nel pregiudizio? o forse ci si rende conto che ciò determinerebbe la fine di quella supposta a-normalità che la quotidianità di migliaia di cittadine e cittadini omosessuali smentisce di continuo?
In Cile una legge contro l’omofobia è stata approvata dopo che due mesi fa Daniel Zamudio, giovane ventenne, è stato torturato e martirizzato unicamente perché omosessuale. Non si deve arrivare a tanto perché in Italia si riconosca la gravità del problema e il legislatore decida di intervenire. Ci stringeremo tutti intorno al padre di Zamudio, che sarà in Italia in occasione del pride di Bologna, a testimoniare con l’AGEDO la barbarità di quanto accaduto a suo figlio. Con lui abbracceremo simbolicamente tutti i parenti delle vittime della omofobia e della transfobia del nostro Paese.

L’omofobia ha un costo sociale enorme. Assorbe le energie non solo delle persone omosessuali, ma di tutti. Se questa giornata non avesse bisogno di essere celebrata, useremmo il nostro tempo a parlare di altri temi che pure urgono: parleremmo del mezzogiorno, della precarietà, della migrazione dal sud di molti e della impossibilità di sopravvivenza a causa della disgregazione dello stato sociale. Parleremmo della barbarie della violenza contro le donne, emblema e prototipo di tutte le angherie di cui un essere umano è capace, contro cui questo Paese ha rinunciato a combattere.

I segni di speranza da parte delle istituzioni non mancano: Torino, Napoli, Portici e Bagnoli Irpino tanto per citare alcuni degli ultimi comuni che hanno istituito il registro delle unioni civili, o gli sforzi che in questo stesso senso si stanno operando a Milano e a Roma, ci dicono che è diffusa l’esigenza di andare oltre l’immobilismo attuale. Ovviamente il registro delle unioni civili in sé ha una funzione solo simbolica. È bene che questo i cittadini e le cittadine lesbiche e gay lo sappiano.
Ci sono poi esperienze forti e positive a livello istituzionale che stanno aiutando a cambiare lo stato delle cose o a mantenere vivo il dibattito: ricordo ad esempio il lavoro dell’Ufficio nazionale contro le discriminazioni razziali che sta costruendo la rete nazionale di centri territoriali per la rilevazione dei fenomeni discriminatori con le regioni e gli enti locali; l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, istituito presso la direzione centrale della polizia criminale; questa stessa iniziativa nella giornata in cui ricordiamo la lotta all’omofobia e alla transfobia.

Se la politica vuole tornare a legittimarsi presso la Società civile deve cominciare a dire la verità. Scelte puramente politiche come il no insistito al matrimonio per le coppie dello stesso sesso non possono essere giustificate da una presunta contrarietà di un tale istituto alla Costituzione. Una tale affermazione ci porta fuori dalla legalità costituzionale e fuori dall’Europa.

I vertici della giurisprudenza italiana hanno finalmente riconosciuto attraverso l’interpretazione del diritto vigente che le persone lesbiche e gay hanno un diritto fondamentale ad essere tutelate quando decidono di formare una famiglia; che il matrimonio è giuridicamente possibile anche tra due donne e tra due uomini e, infine, che il Parlamento ha ogni potere di aprire il matrimonio alle coppie dello stesso sesso. Ora è il Parlamento a dover fare la sua parte assumendosi le sue responsabilità nei confronti dei cittadini gay e lesbiche e delle loro famiglie. Non dimentichiamoci che i figli di persone o coppie omosessuali si vedono negate quelle tutele che hanno i figli delle persone e delle coppie eterosessuali: non viene riconosciuta la maternità o la paternità del genitore non biologico; e si nega o si rende difficile al coniuge omosessuale, separato o divorziato, di essere affidatario del minore al pari dell’ex coniuge eterosessuale.

Concludo con l’auspicio che in futuro anche attraverso i mezzi di informazione la si smetta di parlare di sesso quando si affrontano temi come l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Auspico che si cominci a parlare solo delle persone, delle loro famiglie, dei loro figli senza che debba esserci sempre qualcuno che contesti la loro legittimità di esi
stere, di esprimersi, di amare, di spiegare che i propri figli sono sereni e forti.
Avv. Antonio ROTELLI,

Presidente Avvocatura per i Diritti LGBTI – Rete Lenford